In volo sopra la Città (in)visibile: il sogno folle di Bulgakov
🇷🇺 • Il Maestro e Margherita, Michail Bulgakov
Editore Einaudi — traduzione di Vera Drisdo
Dicembre 2024-Gennaio 2025
"Il maestro e Margherita" è una di quelle matasse che non vuoi sbrogliare, perché il suo roboante, vertiginoso caos è connaturato al romanzo stesso. Sfilare qualcosa dal garbuglio ti fa sentire fuori posto, come se ne cambiassi la composizione: forse tutto quello che c'è da fare è seguirlo e basta. Mai come in questo caso, forse, funziona quella che tecnicamente si chiama "sospensione dell'incredulità" — e funziona alla grande, a lasciarglielo fare: se non lo avete mai letto, immaginate che dalla penna di Bulgakov prenda vita qualcosa che in certi momenti potrebbe aver dipinto Chagall, in altri Picasso, Kirchner o Franz Marc. Aggiungete un tocco delle Città Invisibili di Calvino (la Gerusalemme di Bulgakov non smette di ricordarmi uno dei racconti di Marco Polo), un Ponzio Pilato in preda a un conflitto e a una solitudine molto dostoevskijani, una Mosca che mi ricorda Gogol' e un'eroina fiammeggiante. Poi, fatelo scrivere a un autore capace di evocare immagini potenti con descrizioni brevissime, giochi di rosso e di nero e di prestigio. Mettetelo in scena in un teatro che smaschera e de-mistifica tutto ciò che già sapete (perché qualcosa sappiamo un po' tutti, in fondo) della tanto contorta anima russa, fatta di poeti da ufficio anagrafe, di mogli gelose e di appartamenti da accaparrarsi.
L'insieme disorienta, e lo fa di continuo. Ma è un vortice meraviglioso e imprevedibile, che attraversa il velo del tempo e di ciò che si crede per restituirci qualcosa di molto umano: la persona dietro il personaggio, dilaniata dal dubbio, dalla modernissima sensazione di trovarsi in un ruolo che non le appartiene. Un Ponzio Pilato segnato dall'insonnia e dall'emicrania in una città crudele e altezzosa, in cui i nomi ci suonano istintivamente noti e insieme arcaici: è una delle storie più vecchie del mondo, eppure la genialità sta nel raccontarla lo stesso, nel farne il contraltare di una Mosca che si sente razionalista e burocrate eppure spalanca le sue porte al caos proprio attraverso idiosincrasie tutte russe. Mosca e Gerusalemme non fanno sempre da specchio l'una all'altra, così come non è sempre immediato cogliere dove si arrotola il filo in questo salto di quasi duemila anni: il romanzo richiede un suo tempo di decantazione — d'altra parte, a noi che leggiamo, non corre dietro nessuno. Per fortuna, davvero, i manoscritti non bruciano. E per fortuna c'è chi se ne prende cura, perché per me (insieme al romanzo su Ponzio Pilato, in assoluto la parte che ho preferito e che si colloca tra le cose più straordinarie mai lette) la vera svolta arriva con Margherita: non c'è forza, umana o extra-terrena, paragonabile a quella di una donna innamorata. Margherita spicca (letteralmente) il volo, si affida alla compagine meno affidabile in assoluto, smuove le sorti (narrative e non) di tutte le pedine sulla scacchiera. Sembra splendere di luce propria per tutto il tempo in cui è in scena, e a guardarsi bene indietro, in realtà, lo faceva già da prima, di riflesso. Ma Margherita è anche la prima a capire che quello che davvero il diavolo può concedere come ricompensa è qualcosa di inestimabile (e non è quello che vi aspettereste), quella che necessita di meno mistificazioni. La più coraggiosa, la più empatica, la più dolce. Perché un Maestro, anche quando non lo sa — soprattutto quando non lo sa, forse — ha bisogno di qualcuno che ne protegga il sonno. O il sogno, fate voi.
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