Festa mobile, nostalgia in movimento: la Parigi di Hemingway (che si incrocia con la mia)
A Moveable Feast, Ernest Hemingway
Penguin Classics
10/2024
Breve elenco non esaustivo delle cose che Parigi reinterpreta a modo suo e che non sono più le stesse dopo averle vissute: il cielo grigio. Il vino rosso. Ottobre. Il tramonto. Il rumore dei tram. Le barche (di ogni forma e dimensione). Le mani gelate. I cimiteri. I croissant (e sai che scoperta). Le scale. L’odore di cibo. La distanza. L’idea di scrivere. L’umidità. Camminare. Sedersi all’aperto. Leggere i classici. Le nuvole. La erre francese. La mancanza. Il calare dell’autunno. I piani alti dei palazzi. I musei. La notte. La carta. Quei maledetti accenti al contrario che non imparerai mai. Camminare (l’ho già detto? È che si cammina tanto a Parigi, dai, concedetemelo). Le librerie. Le librerie appena aperte. Le librerie piene fino al soffitto. I tempi lunghi. Osservare. I contrafforti. Il paradigma dell’assenza. I corvi e i piccioni sulle ringhiere. Il vin chaude. L’idea che il mondo sia pieno di cose da vedere, e allora qui magari sì, ci torni anche ma non così subito, dai (e poi ci torni sempre prima di quanto credi). La voce tremula di Edith Piaf. L’idea che abbiano sempre avuto ragione tutti, su Parigi, e non è nemmeno davvero colpa tua se pensavi non fosse così, è solo che non l’avevi mai vista. Le crepes quelle vere. Il sole quando scalda. Accendere una candela, lasciare un messaggio alla te futura (perché torni) (tanto torni). L’odore del pane. Le finestre alte e strette. L’Art-Déco. La mancanza. Ops. Eccone un’altra che ho già detto, ed è qui che mi incaglio, perché c’è questa cosa che dice Hemingway all’inizio di “A moveable feast” che smuove molto di indefinibile: forse lontano dal Michigan saprò scrivere del Michigan, come se Parigi fosse solo un posto “lontano da”, uno qualsiasi, e magari all’inizio è anche così e lui voleva davvero – davvero – solo scrivere del Michigan e poi magia, il paradigma dell’assenza, così lo chiamo io. Perché a Parigi ci torna – anche lui, come uno qualsiasi – a intervalli, sverna e poi torna, come certe specie di uccelli del Jardin du Plants, ci torna e se ne va e poi ne scrive, e chissà se ci pensava davvero, a scriverne, mentre guardava in alto in Place de la Contrescarpe e se pensava, un po’ come me ingenuamente, che se c’è qualcosa di cui qualcuno dovrebbe davvero scrivere è Parigi e la luce a Parigi e il freddo a Parigi e gli odori a Parigi e tutto quello che mi sfugge – di sicuro mi sfugge, ma per fortuna non sfuggiva a lui.
È un libro che puoi guardare con diverse paia di occhiali, “Festa Mobile”. Lo puoi guardare con un po’ di condiscendenza e pensarlo solo come una romanticizzazione di qualcosa che in fondo tutti sappiamo, Parigi e gli scrittori e i bistrot e il freddo eccetera. Lo puoi guardare con il filtro della fascinazione intellettuale: dopotutto, è una testimonianza eccezionale di quella che lui chiama, non senza una certa fierezza, la lost generation – che poi, persa da chi? Persa quando? Dove? – quella che è l’unica a sapere qualcosa che chi la guarda non afferra, non capisce, si perde, appunto. È un ritratto umanissimo di persone prima che diventassero personaggi: le nevrosi e le fragilità di un Fitzgerald, i capricci magnetici di Zelda, l’intransigenza intellettuale di Ezra Pound, tra tutti – la generosità di Sylvia Beach, ma qualcosa come un ritratto da salotto, con una famigliarità inimitabile. È anche una sorta di mappa e di agenda per inquadrare la Parigi letteraria di Hemingway stesso e di molti altri; potresti leggerlo e subito dopo guardare Midnight in Paris, andare avanti e indietro nel tempo con una naturalezza che ha a che fare solo in parte con la sospensione dell’incredulità. E poi puoi anche metterti gli occhiali da scrittura, perché soprattutto nella prima parte è anche una dichiarazione d’amore e fedeltà a un modo di intendere la scrittura rigoroso ma mai asfittico, con incisi metodologici che si inseriscono tra un incontro e l’altro a ricordare che la scrittura è vita e la vita è scrittura, che è scrittura anche osservare e passeggiare ed è scrittura, ancora una volta, ciò che si manifesta in assenza.
Però c’è uno sguardo che mi piace più di tutti, perché è lo stesso con cui mi ricordo Place des Vosges appena dopo il tramonto e il sole sulle barchette in mezzo alla fontana dei Jardins du Luxemburg e Shakespeare and Company appena aperta e l’anatra in un localino pienissimo la sera tardi, quella domenica in cui ho scoperto di essere rimasta bloccata a Parigi e ancora non sapevo che mi si sarebbe infilata nel cuore proprio così tanto: è guance gelate e occhi felici, è la certezza del ritorno che si incastra alla perfezione, anche lei, nel paradigma dell’assenza.
Gli indirizzi della Parigi di Hemingway:
- 44 Rue Jacob: la stanza 14 dell’Hotel d’Angleterre fu la prima residenza di Hemingway a Parigi nel 1921: all’epoca era ancora chiamato Hôtel Jacob. Nelle immediate vicinanze, durante la sua permanenza amava recarsi al Le Pré aux Clercs (30, Rue Bonaparte).
- 74 Rue du Cardinal Lemoine: siamo vicino al Pantheon, e qui la coppia (‘very poor and very happy’) visse tra il 1922 e il 1923
- 113 Rue Notre Dame des Champs (residenza degli Hemingway dal 1924 al 1926)
- 12 Rue de l’Odeon: l’indirizzo originario della libreria Shakespeare and Company, dove Sylvia Beach gli concedeva ampia flessibilità per prendere a prestito e pagare i volumi (attenzione: la libreria ha cambiato sede nel dopoguerra e si trova ora vicinissima alla Senna, con vista su Notre Dame, in Rue de la Boucherie)
- 27 rue de Fleurus: l’indirizzo di Gertrude Stein, che ospitò molte volte Hemingway
- 114 Rue de Tilsitt: l’appartamento arredato affittato dai Fitzgerald, nei pressi dell’Arc de Triomphe
I locali
- Dingo American Bar (Montparnasse): compare nella parte centrale del libro, ed è dove Hemingway ha il primo incontro con Scott Fitzgerad
- Les Deux Magots, nelle immediate vicinanze dell’economica Brasserie Lipp (Rive Gauche): Parigi è anche e soprattutto calore, odori e sapori, e questi sono tra i locali più vividi
- La Tour d’Argent, all’epoca locale senza pretese, oggi è un ristorante stellato
- La Closerie de Lilas è forse il locale più vicino alla residenza degli Hemingway in Rue Notre Dame des Champs (Montparnasse), nonché uno dei luoghi in cui più amava scrivere. Qui scrisse buona parte di “The sun also rises”; in questo periodo il locale si trasformò in un ricercato cocktail bar di ispirazione Art-déco
I punti di riferimento
- Place st. Sulpice con il Cafè de la Mairie (frequentato da molti esponenti della Lost Generation), nelle vicinanze dei Jardins du Luxembourg, che Hemingway amava particolarmente. Le passeggiate nei giardini scandivano soprattutto le giornate dei tempi più duri: Parigi è una città in cui è quasi impossibile non farsi tentare dai profumi dei locali, e i grandi parchi gli consentivano di ingannare la fame almeno per un po’. Nel Museo, lo scrittore ammirò in maniera particolare alcune opere di Cézanne che gli dettarono alcune sensazioni poi riversate nella sua disciplina in materia di scrittura.
- Marché Mouffetard sulla Rue Mouffetard, di cui Hemingway scrive ‘wonderful narrow crowded market street’ non senza un poco di romanticismo: il nome della strada e del mercato deriva da una parola in antico francese che significa “puzza”, ma il luogo trasmette una forte sensazione di “altrove”, di semplicità rurale che ben si sposa con le ristrettezze dei primi tempi parigini della coppia.
- Bibliothèque Nationale de France – sede di Louvois. Si trova non lontano dall’Opéra Garnier.
- Rue des Italiens: qui si trovava il popolare bar “Il buco nel muro” frequentato da diversi artisti e intellettuali; viene citato indirettamente in merito a un vaso acquistato da Ezra Pound.
- Arc Du Carrousel, uno dei punti di riferimento citati durante una camminata tra il tramonto e il buio, con la sua suggestiva posizione tra le Tuileries e Place de la Concorde. C’è persino una piccola citazione all’arco di trionfo di Milano.
- Île de st. Louis, l’isola nella Senna accanto alla più nota Île de la Cité
- Place du Pantheon
- Lycée Henry-IV
- Place de la Contrescarpe, uno dei luoghi di passaggio più frequenti per le camminate dello scrittore
- Place Saint-Michel è il luogo dove, in un freddo autunno parigino, si apre il libro
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