Di navi in bottiglia e di nidi da cuculo: perché Demon Copperhead sono le mie prime cinque stelline dell'anno

🇺🇲Demon Copperhead, Barbara Kingsolver
Editrice Neri Pozza, Traduzione di Barbara Prandino

2024


C'è un punto, verso la fine, in cui mi è venuta in mente un'analogia, meravigliosa e anche un po' crudele. Succede quando Demon siede su un cuscino decorato a uccellini e mi sono ricordata del cuculo, un uccello che pratica il parassitismo di cova: deposita un uovo nel nido di un'altra specie, in modo che i genitori inconsapevoli nutrano il nuovo nato in sua vece, e poi migra, lasciando il piccolino a cavarsela da solo.

Be', se non è una metafora che funziona, questa. Casa Maggot— appartamento di June compreso — somiglia a un nido, dove più di una madre disastrata depone cuccioli umani, non senza un certo grado di consapevolezza (per inciso: la ragione alla base del parassitismo di cova sarebbe che l'alimentazione del cuculo adulto non è adatta agli uccellini. Non so, ma a me fa suonare un campanello.), confidando nel fatto che questi abbiano un istinto di sopravvivenza degno di un cuculo, quello che porta i piccoli a liberarsi delle uova della specie ospite. E qui, ecco, la strada di Demon devia. Perché Demon, che nel nido dei Maggot un po' è stato scaricato e un po' ha continuato a tornarci per scelta — per quanta scelta tu abbia nella Lee County, insomma — non è uno che scarica fuoribordo chiunque altro.

Nulla mi toglie dalla testa l'idea che, con tutto quello in cui si infila, Demon rimanga dall'inizio alla fine un bravo ragazzo che si scontra con l'ineluttabilità del posto in cui viene al mondo, con l'irraggiungibilità di un orizzonte bordato finalmente di onde e non di schiuma, di un luogo pulito e calmo a un soffio da lui che gli viene portato via sempre all'ultimo. A proposito di analogie, eh. Come a dire: dal momento che non sono in grado di cogliere le più eclatanti, non avendo mai letto David Copperfield — ma basta un giro su Wikipedia per rendersi conto che l'operazione di Kingslover è acuta, rispettosa e a modo suo, geniale — è stato inevitabile afferrarne parecchie altre. Dopotutto, credo che Demon agli eroi sia abbastanza allergico. Che in ottocento pagine abbia tutto il tempo di rendersi conto che gli unici innocui siano quelli disegnati (e nemmeno sempre): quando li investi tu, nella vita reale, di tale potere, di solito finiscono per esplodere in schegge troppo aguzze perchè basti ripararsi per uscirne illesi.

E dagli anni Novanta della sperduta provincia americana, sembra, nessuno esce illeso.

Demon Copperhead mi è piaciuto così tanto che mi è successa quella cosa di cui parla Salinger e che Mr. Dickie mi ha ricordato: avrei voluto poterlo dire all'autrice — che poi, un po' sull'epilogo e persino sul finale dei ringraziamenti ci è mancato tanto così a farmi piangere — avrei voluto poterle dire che una delle cose più incredibili che fa è riuscire a scrivere da adulta prima di un bambino e poi di un adolescente accartocciato e poi di un uomo quasi scivolandoci dentro, facendosi piccola quando serve nascondersi e srotolandosi in ogni fibra di un dolore che probabilmente per l'America di quegli anni è qualcosa di epidemico, di collettivo e ti arriva alle unghie, alle punte dei piedi come un'ingiustizia, come un inutile avvertimento tardivo, estendendosi controvoglia fino a riempire un metro e novantacinque di rimpianti e di mine inesplose. Demon Copperhead racconta talmente tante cose che cercare di metterle insieme è un po' come raccogliere sabbia e acqua salata tra le dita e francamente se non l'avete ancora letto — io arrivo tardi come al solito — nemmeno vorrei anticiparvele, perché la cosa più bella è che è inevitabile ci finiate un po' dentro anche voi, anche quando l'acqua invece che essere quell'azzurro pazzesco con cui i bambini continuano a disegnare — come se sapessero che là fuori c'è qualcosa di meglio — diventa un gorgo cattivo che travolge il poco che resta di solido, persino la bottiglia che intrappola la nave e la scaraventa su un'altra riva desolata. E poi c'è che non le racconta solo Demon, ché forse, a parte lui, i più memorabili rimangono i personaggi femminili: determinate a distruggere o a distruggersi, l'amore della vita da raccogliere, una passeggera a cui accarezzare i capelli per cinquecento miglia, persino le adulte che fanno quasi sempre una figura migliore dei loro corrispettivi maschili, o forse sono solo gli occhi di un linebacker dal cuoricino malconcio e contorto che non ha mai smesso di desiderare una madre.





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