A distanza di sicurezza, Valeria Savatteri

🇮🇹 •A distanza di sicurezza, Valeria Savatteri
05/23



Se ho iniziato A distanza di sicurezza è stato soprattutto per curiosità. Avevo iniziato a seguire Valeria da poco e mi aveva attratto lʼintraprendenza e la caparbietà con cui portava avanti la scrittura come attività parallela: sui mezzi, nei giorni liberi, nei ritagli di cui si appropria quando può. Non poteva non risuonare noto. Una delle prime cose che ricordo di aver visto sul suo profilo è la sua faccia, un poʼ spaventata e un poʼ determinata, mentre porta A distanza di sicurezza nelle librerie di Milano.

Ecco, per me è impossibile pensare al suo libro scindendolo da lei. A distanza di sicurezza ha la voce di Valeria dalla prima allʼultima pagina: mette in scena una ragazza – una professionista in un ambito maschile e maschilista che a fatica si appropria della definizione di donna, come capita a quelle col viso pulito e la contorta fortuna di dimostrare meno anni della propria età – gentile ma caparbia, abituata a non attirare lʼattenzione. Unʼamica, una figlia, una milanese un poʼ per necessità e un poʼ – forse nei giorni migliori, quelli degli aperitivi dove si ride di più, in cui capisci di avere intorno una rete mica male – anche per auto-adozione. Angela è una millennial in cui è facile ritrovarsi, pulita, mai sopra le righe, una donna che non ha bisogno di essere completata, ma Angela è anche il suo dono. E questo è uno dei tre tratti più coraggiosi di A distanza di sicurezza: Valeria dà al romanzo un taglio impossibile da incasellare in un genere, e io me la ricordo al SalTo, che fremeva perché cosa ci faceva nella varia? Urban fantasy magari? Realismo magico? Chi compra realismo magico se non ha scritto in copertina Allende o Marquez?


In un mondo che deborda di etichette insensate per ogni respiro – ma le chiama trope, perché a quanto pare il marketing è qualcosa che si improvvisa dalla sera alla mattina, e io pensavo che si studiasse per anni, guarda un poʼ – la storia di Angela è orgogliosamente Altro. Non è un libro perfetto – non lo si chiede nemmeno, a un esordio: quello che chiedo io è semplicemente che narrare sia necessità, e che sia sincera, trattata con la dovuta serietà – ma riflette la sua travagliata storia editoriale. E per me è un plus, perché porta in sé quella consapevolezza, quella testardaggine, anche un poʼ quellʼorgoglio che è Valeria stessa, dodici ore sui tacchi al SalTo e un sorriso che non si spegneva mai. Dovreste conoscerla tramite lei, quella storia, perché forse anche a voi verrebbe voglia di darle una possibilità su Kindle anche se non leggete mai in digitale, perché capireste dove questa storia parla di perdita, di ingiustizia, dove fa sorridere, dove sa di biscotti, dove di disinfettante e dove di spritz. In questo rapido elenco c'è il motivo numero due, solo in ordine cronologico, per il quale Valeria si conferma cazzutissima. Ma anche lì, dovreste scoprirlo da lei: non sono in grado di rendere giustizia al valore catartico, forse terapeutico, che la scrittura acquisisce a mano a mano che si annida nelle pieghe della storia personale. Valeria sfiora la poco nota condizione dell'Alta sensibilità, e lo fa giocando con un espediente narrativo riuscito, calibrato e intrigante, che inizia a funzionare davvero forse proprio quando i binari lungo cui Angela incanala la propria esistenza la sbalzano fuori traiettoria: il libro parte quasi controllato, in guardia, come guardinga per necessità è Angela stessa, spossata dalla fatica quotidiana di mantenersi, appunto, a distanza di sicurezza. Perderne il controllo è terrificante, ma è anche una liberazione: dei ricordi, delle paure, della capacità di chiedere aiuto, un muscolo che Angela riscopre atrofizzato ma ancora funzionante. Le storie che funzionano deragliano, e questa lo fa in un momento – narrativo, umano, ma non solo – che lo rende unico.

Cʼè infatti un motivo numero tre, dove la storia non è più solo personale, ma questo è un colpo sottilissimo che dà davvero a questo libro un carattere ancora diverso rispetto a quello che già mi aveva convinto sino a metà inoltrata. E non vi priverei della sorpresa. Se vi capita di leggerlo – e a me piacerebbe che capitasse anche solo a uno di voi, non per i miei 3500 caratteri, ma passando dalla voce di Val – faccio un appello: scrivete a lei, ma scrivete anche a me, che ne parliamo.

Perché è una storia sul contatto, sul suo bisogno e sulla sua mancanza, sul fatto che il contatto stesso sia storia e storie: che non ci sia davvero nulla di magico o di fantastico, perché è già mano, braccio, stretta. La pelle sa. La pelle sa sempre, è chimica, è memoria, è un'eredità di famiglia. La pelle sa, ma è anche disposta a imparare ancora: se c'è una magia, forse, è solo questa.

Commenti

  1. Sono la mamma di quel Matteo, unico, insieme alla nonna, ad aver mantenuto il nome reale nel libro di Valeria. Come puoi immaginare il libro l'ho divorato dopo che l'Autrice me ne ha regalata una copia autografata. Non è un libro perfetto, come giustamente scrivi tu; in qualche punto ci ha ferito perché è un romanzo, certo, ma la nostra vita ed il nostro Matteo romanzi non sono ... Va letto perché aiuta a sondare, ad esplorare, quel territorio di confine, sottilissimo, che è il vivere rispettando se stessi e/o l'immagine che gli altri hanno di noi. In bocca al lupo alla giovane Autrice, Valeria e complimenti a questo sito 😉

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    Risposte
    1. Grazie di aver dedicato del tempo alla lettura del mio post, che vuole essere – più che una recensione, di cui è pieno il web – proprio un omaggio al lavoro che Valeria ha fatto, lavoro letterario ed editoriale ma prima di tutto emotivo, lavoro di bilanciamento e dedizione, per restituire su carta la complessotà e la delicatezza della storia umana... Mi ha toccato molto, e sono certa che Valeria abbia una sensibilità fuori dall'ordinario, senza la quale tutto ciò non sarebbe stato così delicato e così acuto. Grazie grazie grazie ancora del suo trmpo, e mi unisco nell'augurare il meglio all'autrice!

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