10/25

Quando questa storia è nata più o meno (molto più o meno) così come è adesso era ottobre.

Era ottobre, che nella mia testa è un po' come maggio, un sacco di significati che non so bene districare ma che somigliano un po' alla nostalgia e un po' all'attesa. Ed era una storia di case e di strade nata in un momento in cui le case erano l'incognita più grossa di tutte – ironico che poi sia nata in una stanza d'albergo – e le strade la scusa per rimanere fuori un po' di più. Saltavo la mia uscita sulla superstrada e non sapevo neanche dire perché.

Mi sembra che questa storia abbia cambiato pelle più di me, ma case e strade e ottobre non se ne sono mai andati. E non se n'è mai andata Kelly, che anzi si è presa lo spazio che nemmeno sapevo le servisse, lo spazio che non mi sarei presa io. Kelly che è spuntata per metà grazie a una lezione di ripetizioni in cui spiegavo Oliver Twist e per metà grazie a una persona che conoscevo solo da lontano, solo grazie a quello che scriveva, e di cui pensavo: è quel tipo di ragazza, fatta di parole, di coraggio e di notte, di cui mi piacerebbe leggere la storia. Poi ho capito che, ancora di più, mi sarebbe piaciuto scriverla. È quel tipo di ragazza e, per inciso, dopo sei anni, lo è ancora ed è l'unica capace di farmi cucinare un risotto dopo tre mesi che non ne voglio sapere. (Sì, Cami, questa è per te. Kelly ha sempre avuto il tuo compleanno.)

Qualche mese fa ho scritto che a lei devo parecchi "grazie" e altrettanti "scusa" perché da allora, anche se questa storia è stata soprattutto nella mia testa per parecchio, l'ho mandata allo sbaraglio contro tutte le cose che avrei dovuto, forse anche voluto, affrontare io. Mi sembra particolarmente significativo ribadirlo adesso, nel mio mese degli inizi e delle nostalgie. Mi sembra significativo adesso che rileggere Point break (ho il vizio di cambiare il titolo ai capitoli, tra le mille cose) ha tutto un altro sapore – amaro, ma ho già scritto qualcosa a proposito della cura a base di gelato e superalcolici, no? –, adesso che l'ha letto qualcuno che non sono io e senza mettersi d'accordo è saltato fuori che è una delle mie scene migliori. Adesso che ci ho ritrovato cose che avevo creduto di esorcizzare scrivendo.
Auch.
E chi ha mai detto che scrivere è indolore.

“D’impulso rotola sulla schiena e siede sul bordo del letto, aprendo il guscio in cui si è chiusa al risveglio. Porta con sé il lenzuolo, (...) Se lo avvolge intorno alle spalle, costringe i piedi nudi a distendersi sul parquet – le dita sono raccolte, inquiete, le piante non appoggiano appieno. Un vecchio vizio – avevo smesso di cercare di non disturbare. Di occupare meno spazio. Avevo smesso portando a casa la Frontera, avevo smesso coi capelli blu. Avevo smesso quando siamo scappati a Santa Monica per poi essere beccati da papà e ho smesso quella notte sul mare e non ho certo smesso per ricominciare.” 


Che poi è anche un po' la sua lezione, anche se lei non penserebbe di insegnare niente a nessuno. Che finché non tiri il freno a mano – meno drammaticamente, finché non ti metti in discussione sino al punto di destrutturarti – non vai avanti davvero. Che io una volta scrivevo di lei pensando a quanto si fosse sentita gigantesca a guidare dalla California al Michigan da sola, e sei anni dopo so che col cazzo, se mai si è sentita piccolissima e lei già lo sapeva, ero solo io a doverlo capire. Che lei non è tanto Unbreakable, che una volta era la sua colonna sonora, ma somiglia più agli indefiniti dei Placebo o degli Arctic Monkeys.
Ho consumato Every me, every you e l'intero album AM cercando di capire come volessi scriverla davvero: non più granitica, ma capace di avere paura, di perdersi, di sbriciolarsi.

Di tornare per scelta o di non tornare affatto.

«Non so perché vi siate fatti tutti l’idea che io sia coraggiosa. La maggior parte del tempo la passo a stringere i denti convinta che arrivata in fondo alla discesa la montagna russa sia finita. Di solito, in fondo alla discesa si sgancia il seggiolino, o qualcosa del genere.»


Mi viene da pensare che già un sacco di tempo fa lei esisteva per dirmi che questa cosa che ogni tanto chiamano "the quiet kid burnout" esiste davvero – eppure ci ho messo infinite versioni e ho dovuto fare a pezzi le mie incongruenze temporali per capire che sì, era plausibile e sopratutto era giusto che perdesse un anno, che facesse errori e non sapesse da dove ripartire, se ripartire. Che avesse il diritto di chiedersi se farloHo scritto decine di pagine in inglese prendendo le distanze dai miei errori e dai miei rimpianti per entrare nei suoi e farne qualcosa di forte, qualcosa che rendesse credibile, autentica, l'incoerenza di cui siamo capaci a volte e che riesce a sembrare potentissima e poetica solo quando la vediamo addosso agli altri, ma che non ci concediamo mai (Cami, se ti suona noto hai ragione). Un'ingenuità – sedici anni cristallizzati in scelte sbagliate e notti lunghissime – che si rifiuta di annullarsi, che cerca un suo modo per sopravvivere senza tradirsi. Una piazzola di sosta, una corsia di emergenza su un'autostrada implacabile e drittissima.

Kelly si è presa prima di me il diritto di fallire, di smettere di sentirsi in debito e di andare lontano. Più di un anno fa sorridevo con un po' di ritrosia davanti all'oceano e scrivevo: questo sembra molto un "cosa farebbe Kelly", ma la cosa assurda è che l'ho fatto io. Mi fa molta tenerezza, perché poi è successo che quest'anno, senza rendermene conto, ho fatto davvero una cosa che nella mia mente poteva fare (e ha fatto) solo lei. Perché ci vuole un coraggio che io non ho (ma lei sì) per tornare al punto in cui tutto poteva ancora essere diverso – tutto poteva salvarsi – e guardarlo in faccia. La sua Pasadena è la mia Barcellona. E fa un po' effetto.

Non basta, perché se bastasse sarebbe solo istinto, e tu non ti sei scaraventata dall’altra parte del Paese in pasto a tutti quegli irrisolti – vorrebbe dirlo a Robb, ecco cosa succede alla loro memoria, è piena di irrisolti – per ridurti a adrenalina e chissà quale altro ormone che è il caso di lasciare a Paul. Tu devi imparare a tornare, Kelly, devi imparare a tornare, perché altrimenti persino il tuo andare non avrà mai un senso.” 

Quindi sì, grazie. E scusa. E buon compleanno, ché quest'anno dovevo proprio dirlo.

Commenti

  1. Potrei stare a leggere per delle ore mentre racconti di te, di Kelly, della forza che è la gemella nascosta della fragilità. Potrei leggere fino ad avere male agli occhi e non averne ancora abbastanza. Sei, siete, meraviglia ❤

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    1. Incredula e felice di ricevere commenti così. Ho sempre protetto fin troppo ciò che scrivo: da qualche tempo, le persone che ho intorno. Sembrano però dirmi che il vero modo per farlo è lasciare andare. E io onestamente ho un sacco di voglia di parlarne.

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