La figlia, Clara Usón

La figlia, Clara Usón
Edizioni Sellerio – Traduzione di S. Sichel
33/22 – Maggio


A casa dei miei c'era un dizionario di serbocroato. Così, non di inglese, francese, spagnolo. Di serbocroato. Come a ricordare che ci sono fascinazioni di cui ci piacerebbe dire che arrivano da lontano, ma la realtà è che vengono da molto più vicino di quanto siamo disposti ad ammettere. Dopotutto il sangue unisce, il sangue sancisce confini. Il sangue è debito. Ma, folgorante, nelle parole di Vlado Papo: raramente amiamo i nostri creditori.

Forse è solo sangue. La vendetta, dopotutto, è un sentimento così balcanico.

Partiamo dalle basi: che parlare di serbocroato sia come cercare di dare uno scossone a qualcosa di instabile e poco coeso lo si capisce da un semplice fatto. In Croazia si usa l'alfabeto latino, mentre in Serbia il cirillico. Il croato, poi, è estremamente geloso dei propri confini lessicali: far entrare una parola di origine straniera è una rarità, e anche quando lo si ammette, la si circoscrive per renderla subito riconoscibile. C'è sempre un noi/loro, una negazione reciproca che trova forza e senso nel diavolo che conosci – non teme nulla, il nazionalismo, se non il proprio fratello. Non so voi, ma a me queste minuzie elettrizzano. Non sono cose che sapevo già per conto mio: leggendo "La figlia" a un certo punto mettermi a cercare è stato un bisogno. A riprova di come Clara Usón abbia unito romanzo e realtà storica in una proporzione perfetta.

È un libro che a tratti si divora senza accorgersene, a tratti necessita di essere ammortizzato. La struttura della Galleria di Eroi, che esordisce come sobrio edificio dai toni ufficiali, fa detonare le sue stesse pareti, così che la voce di Ana – e, per me, ancor più quella di Danilo – costruiscano in maniera sempre più ambigua, sovrapposta e talvolta febbrile il sistema di appartenenze "a matrioska" che sembra custodire qualcosa dell'identità serba. Croata. Slava. Della condizione di straniero e del suo labile confine con quella, scomoda e detestata, di profugo.

Una forza di gravità "laterale" che lega alle cose vive quando l'orrore incombe, quando la promessa più dolce di un padre è un colpo di pistola e la menzogna è una forma di eroismo che comporta il sacrificio delle proprie frontiere interne, lo sbriciolamento di ogni credo. La con-fusione: finché siamo noi e loro i confini sono crudelmente netti, ma che il noi non diventi io. Io è pericoloso. Io non ha spazio per esistere.

Io soffoca


Può un popolo che non conosce i suoi padri saper essere figlio? Una condanna alla grandezza che Usón non risolve: niente deus ex machina, forse sfollato anche lui, ma è una tragedia in pieno canone. Di quelle che necessitano solo di un traditore, un eroe e una principessa innocente.

Per la cronaca: “vendetta” si dice osveta in croato e освета in serbo. Come dite? Sì, è come sembra: suonano uguali. 


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